en-IL FUTURO DELL' ECONOMIA

27/10/2022

DAVOS Lo sviluppo integrale non va di moda

 La scorsa settimana si è concluso il Forum di Davos, in Svizzera, ove politici e imprenditori si sono riuniti virtualmente per condividere le traiettorie economiche degli anni a venire. Si esce molto delusi da questo incontro, perché abbiamo assistito allo showdown di uomini di affari che parlano del futuro, di capitalismo e di business soprattutto. Non c'è affatto niente di male in questi temi ovviamente, che fanno parte dell'attualità economica internazionale. Il fatto è che se ne parla escludendo ciò che è umano, l'uomo e la creazione a esso donata. Per carità si è parlato di ambiente, transizioni ecologiche e di inquinamento, ma la narrativa è schiacciata sul motto: «Qui occorre produrre, produrre, produrre e fare tanto denaro sulla nuova economia». Verrebbe da chiedersi qual è il guadagno se si ascolta sempre lo stesso disco rotto. L'incontro è organizzato dal World Economic Forum, un'associazione di imprese e businessmen che si incontrano per creare un linguaggio comune e scambiarsi linee di azione comuni di affari. Ascoltare on line, ma dal vivo, i seminari che si sono succeduti fa proprio cascare le braccia, come si dice in gergo. Un importante webinar svoltosi il 20 gennaio in cui l'inviato speciale degli Usa sul clima John Kerry ha posto ancora una volta l'obiettivo dell'abbattimento della CO2 come primario, insieme alla necessità di investimenti di almeno due trilioni di dollari nell'economia green, al fine di riprendere il cammino dell'umanità. Stessi echi nell'intervento dell'onnipresente Bill Gates, Klaus Scwab e la Von der Leyen. In particolare il magnate di Microsoft ha candidamente affermato che «molte imprese falliranno per la transizione ecologica; questo è inevitabile e accadrà». Vi assicuro che la divertita e un po' arresa mimica facciale era coerente con le espressioni verbali. Una novità di quest'anno è stata la nutrita partecipazione di primi ministri e ministri del Sud America e dell'Africa. Seguono, come sempre, un numero consistente di interviste a Ceo, amministratori delegati e banchieri. Ora, il tema è se la direzione in cui questi signori vorrebbero condurre l'umanità è corretta. La risposta è certamente negativa. Il Forum di Davos insiste nella crescita iperliberista, l'aumento della produzione come mantra economico del futuro. Il punto è sostanzialmente questo. Ed è anche quello che veramente non può essere più accettato neanche in un'ottica cristiana.

La differenza tra il capitalismo del novecento e il turbocapitalismo della svolta è che gli investimenti sono realizzati nel settore green e che la tecnologia è lo strumento di verifica, indirizzo e controllo dell'utilità di tali impieghi del denaro. Il lettore capirà bene che manca un ancoraggio a un'antropologia di riferimento in cui la dignità umana sia il fulcro da cui parte e ritorna la parabola del pensiero. Sono solo dei businessmen che si autoproclamano, per orgoglio, leader internazionali e che, purtroppo, sono seguiti da deboli leadership politiche che attualmente appaiono schierate con il più ricco e non con le comunità. Nei discorsi di Davos non si sente mai parlare del valore culturale, storico ed economico dei territorio, se non per indicare il suolo agricolo da utilizzare attraverso la genetica modificata; non si sente mai parlare di diritti sul lavoro se non come ostacolo da abbattere e di cui sbarazzarsi velocemente per realizzare la grande transizione; non si sente mai parlare di vita se non per indicare il corpo umano che, in un impeto di illuminismo tecnologico, chiederebbe di essere integrato da tecnologie utili alla crescita dell'umanità. Quando si parla di incontro e collaborazione non si indicano le mani degli uomini che si tendono le une verso le altre per cercare soluzioni possibili, ma per stringere affari e sottoscrivere contratti internazionali. Scusate la perentorietà dell'affermazione ma si ha proprio l'impressione che l'anima mundi di Davos sia il denaro a più non posso; quello dell'umanità è la felicità nelle relazioni; e se appare che non sia (ancora) così, occorre dire con coraggio che non è questo il tempo di arrendersi nella costruzione della città dell'uomo, ma è il tempo in cui comprendere che la vera urgenza è la ricostruzione di ciò che è o resta umano, davanti alle sfide dello sviluppo umano integrale. Il turbocapitalismo a controllo tecnologico non è progresso e il cosiddetto e supposto progresso non è la verità di cui l'umanità ha bisogno, ora.


Pubblicato su Toscana Oggi La Voce il 30 Gennaio 2021